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P. Giovanni Cavalcoli e la Comunione
ai divorziati risposati

di S.P.

Un po’ di storia
       1. P. Cavalcoli concede una intervista ad Andrea Tornielli (vaticaninsider.lastampa.it) sostenendo che «La comunione ai risposati non tocca la dottrina ma la disciplina»;
       2. a tamburo battente gli risponde Corrado Gnerre con l’articolo “I tre marchiani errori di padre Cavalcoli”, articolo che, fatte due precisazioni, condividiamo totalmente;
       3. a Corrado Gnerre risponde padre Cavalcoli con una sua lectio magistralis (addirittura!), risposta che riportiamo integralmente [ricordiamo che la lectio magistralis è quella tenuta da un famoso Maestro d’Università dall’alto della sua Cattedra];
       4. alla risposta di padre Cavalcoli, alla sua lectio magistralis, che non smonta affatto quanto obiettato da Corrado Gnerre, rispondiamo anche noi, facendo nostre tutte le osservazioni di Corrado Gnerre e precisando ulteriormente punto per punto.

       Chi è padre Cavalcoli ce lo dice Andrea Tornielli in premessa alla citata intervista: Padre Giovanni Cavalvoli è un «domenicano, filosofo metafisico e teologo dogmatico, docente emerito di metafisica nello Studio Filosofico Domenicano di Bologna e di Teologia Dogmatica nella Facoltà Teologica di Bologna, membro ordinario della Pontifica Accademia di Teologia e condirettore della rivista telematica l'Isola di Patmos (isoladipatmos.com).»

       Di Padre Cavalcoli ci siamo già occupati, senza peli sulla lingua e non lasciandoci impressionare da titoli altisonanti, veri o presunti che siano (P. Giovanni Cavalcoli e la Fraternità S. Pio X, Il Card. Martini è morto: Deo gratias!). Ora torniamo a occuparci del personaggio, grazie ad un amico che ci ha informato di un suo articolo (a noi sfuggito), nel quale sostiene che «dare la Comunione ai divorziati risposati è una questione legale della Chiesa, e non una questione morale».
       Per essere precisi nella risposta siamo andati alla ricerca dei documenti, che riportiamo (come nostro solito, a sinistra riportiamo integralmente l'articolo di C. Gnerre e la lectio magistralis, di fianco, a destra, le nostre osservazioni puntuali).

                                                                                                                              S.P.
Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente nostri.

16 ottobre 2015 - 11:06
Corrispondenza Romana

I TRE MARCHIANI ERRORI
DI PADRE CAVALCOLI

di Corrado Gnerre

 

 

      San Pio da Pietrelcina, grande apostolo dei nostri tempi nonché grande difensore della indissolubilità e santità della famiglia, un giorno scrisse ad un figlio spirituale: “Il premio è promesso dal divin Maestro non a chi ha ben incominciato, ma a chi persevera sino alla fine. Vi basti l’esempio di Giuda, il quale incominciò bene, continuò nel bene, ma non perseverò fino alla fine e andò perduto.”

 

 

      Leggo dal sito vaticaninsider.lastampa.it un’intervista rilasciata dal padre domenicano Giovanni Cavalcoli, famoso teologo che indubbiamente aveva (eccome) iniziato bene, ma che per le cose che sta dicendo da un po’ di tempo a questa parte sembra abbia rinnegato non poco i suoi provvidenziali inizi.

Dispiace dirlo, ma nell’intervista rilasciata dal Padre ci sono almeno tre evidenti errori che mai ci si sarebbe aspettati considerando come e cosa scriveva il Nostro tempo fa.

 

 

 

      Il primo errore

Il primo errore riguarda l’affermazione secondo cui la comunione ai divorziati riguarderebbe la disciplina e non la sostanza della dottrina dei sacramenti. Come si faccia a dire una cosa del genere non lo so. So solo che in questo caso la logica salta. Mi spiego. Che ci sia una differenza tra la dottrina dei sacramenti e la disciplina degli stessi è vero, che la prima sia intoccabile mentre la seconda sì, è altrettanto vero; ma che per la comunione ai divorziati si tratti solo di una questione disciplinare è una grande sciocchezza sul piano logico. Faccio un esempio (peraltro citato dallo stesso padre Cavalcoli nell’intervista) la decisione di san Pio X di abbassare l’età per ricevere la Prima Comunione e la permissione di riceverla più frequentemente fu sì un cambiamento disciplinare ma che non toccava la sostanza della dottrina. Lo sarebbe stato se si fosse detto: possono accostarsi all’Eucaristia anche coloro che si trovassero in stato di peccato grave. Ecco dunque un semplice ma chiaro problema (fa riflettere il fatto che lo si debba dire ad un professore di teologia della levatura di padre Cavalcoli): i cambiamenti disciplinari possono esserci fatta salva la sostanza. Padre Cavalcoli pone male il problema dicendo che ogni cambiamento disciplinare, perché non di sostanza, avrebbe sempre una sua legittimità. La questione deve invece essere precisata in questo modo: un cambiamento disciplinare non è più tale quando muta la sostanza, se muta la sostanza non è più “disciplinare” ma “sostanziale”.

 

 

 

 

      Il secondo errore

Padre Cavalcoli afferma che esiste il peccato ma non esisterebbero le “condizioni di peccato”, perché il peccato è sempre un atto della volontà. Egli dice nell’intervista: «Non esistono “condizioni peccaminose”, perché il peccato è un atto, non è una condizione, né è uno stato permanente. L’atto del peccato può essere prolungato nel tempo, come può avere per sua essenza una durata temporale (per esempio un furto in una banca); ma, trattandosi di un atto della volontà, può essere interrotto in qualunque istante e comunque cessa entro un certo lasso di tempo, una volta che l’atto è compiuto. Quello che è permanente in noi per tutta la vita, anche nei migliori, è la tendenza a peccare, conseguenza del peccato originale…” Siamo all’assurdo. Convivere non è un atto di volontà? Due sono le cose: o la convivenza e il concubinato sono legittimi oppure no. Se si ritengono legittimi, cambia la dottrina. Se si ritengono illegittimi e si afferma che essi non costituiscono condizioni peccaminose allora salta la logica…e anche in questo caso la dottrina. Padre Cavalcoli fa l’esempio del furto e dice che esso può essere interrotto… e la convivenza? Non può anch’essa essere interrotta? Lo so che a riguardo si dice: ma ci sono delle convivenze che ormai non possono più interrompersi perché consolidate nel tempo e con figli da crescere ed educare… Ma bisogna rispondere: anche queste convivenze devono essere interrotte. Padre Cavalcoli dovrebbe ben conoscere che in tal caso l’interruzione non riguarderebbe la forma ma la sostanza, prendendo tutte le precauzioni del caso. I due conviventi  (1a) dovrebbero vivere non più come marito e moglie (perché non lo sono), ma semplicemente collaborando all’educazione dei figli.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1a) Precisiamo che i due conviventi non debbono essere più conviventi, devono innanzitutto cessare di essere conviventi

La “Familiaris Consortio” al n.84 è chiara: “La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. (…). La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione(2a), «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).”

 

 

 

 

 

 

 

(2a) Non crediamo affatto che  l’educazione dei figli possa impedire la separazione dei conviventi, come chiariamo ai punti 33 e 34.

      “Educazione”, ecco un’altra questione che in questi giorni si dimentica nel dibattito teologico. Ma è possibile che nessuno pensa ai figli? Si dice: due divorziati che sono risposati hanno comunque l’obbligo di educare i propri figli… giusto. Ma, appunto, educarli! In questo caso l’educazione imporrebbe il far riconoscere visibilmente ai figli (vivendo non come marito e moglie) lo sbaglio fatto affinché anche i figli non lo ripetano nella loro vita. Ma questo –diciamocelo francamente- non lo si dice perché tutto sommato non ci si crede più.

Inoltre c’è un’altra questione, quella che la convivenza va a ledere inevitablmente l’indissolubilità. Ma padre Cavalcoli crede o non crede che vita natural-durante i due coniugi rimangono uniti sacramentalmente in Dio? Se è così, anche quando non vi è più la possibilità di convivere, per esempio il caso del coniuge abbandonato, questi è tenuto a continuare a sentirsi unito al proprio marito o alla propria moglie pregando per lui. Un’unione che non finisce con la separazione e che è esclusiva, e proprio perché tale non può essere condivisa con altri, pena l’indissolubilità del matrimonio. Questa è la logica.

 

 

 

 

      Il terzo errore

Ma è proprio sulla logica la questione. E vengo al terzo errore che fa padre Cavalcoli. Ovviamente non poteva non venir fuori l’ipostatizzazione della Tradizione, la Tradizione che dai tradizionalisti viene intesa come una sorta di libro, il fatto che non si riconosca ad essa una dimensione “vivente” e via discorrendo… Ora, premettendo che (è bene ripeterlo altrimenti padre Cavalcoli pensa che noi “tradizionalisti” –definizione che a me non piace- siamo impreparati) che Tradizione e Scrittura sono fonti “remote” della Rivelazione, mentre il Magistero ne è fonte prossima… premettendo questo, va detto che padre Cavalcoli quando parla del rapporto tra Tradizione e Magistero si dimentica due importanti cose che mi limito solo a citare perché necessiterebbero di molto più tempo. Primo, che il Magistero non può nella storia entrare in contraddizione (ipotesi tutt’altro che impossibile, infatti è contemplata teologicamente tant’è che ne parlava già San Vincenzo da Lerino). Secondo: quella della possibile fallibilità del papa. Nel primo caso, la palese contraddizione implicherebbe che si segua ciò che è stato insegnato prima non ciò che viene affermato dopo; nel secondo caso, va ricordato che l’infallibilità del Papa non è infallibilismo.
 

 

Corrado Gnerre

 

 

     

 

 

LECTIO MAGISTRALIS:
LA COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI
DI GIOVANNI CAVALCOLI A CORRADO GNERRE & C

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

 

Fonte: vaticaninsider.lastampa.it

 

       L’impressione che a volte il Papa non si attenga al dato rivelato trasmesso dalla Sacra Tradizione, è sempre un’impressione falsa (1), che deve farci comprendere che con simile atteggiamento mentale si finisce col cadere sotto il rimprovero del Signore, fatto ai farisei di non ascoltare la Parola del Dio eterno, che non passa e non muta, ma di farsi schiavi di caduche e vane “tradizioni di uomini”

 

(1) Sembra la proclamazione di un dogma. Ma perché quell’impressione è sempre falsa?! Su che fonda tale certezza? E, innanzitutto, si tratta proprio d’impressione o di constatazioni fattuali? Il voler dare la Comunione ai divorziati risposati è un’impressione o un fatto? Tanto per limitarci al problema in questione…, anche se l’espressione è posta in maniera così generalizzata che abbraccia tutto il dire e il fare di Papa Francesco, nonostante le evidenti contraddizioni con la quasi totalità dei suoi predecessori e nonostante il Concilio Vaticano I (che si è preoccupato di chiarire quando il Papa è infallibile e quando no, quando quindi il Papa si attiene «al dato rivelato trasmesso dalla Sacra Tradizione» e quando no).
Quindi per Don Cavalcoli, novello Maestro, impressione sempre falsa, perché quella del Papa è sempre e comunque Parola di Dio, e chi non ascolta il Papa ha impressioni false e si fa «schiavo di caduche e vane “tradizioni di uomini”».

      Rispondo alle recenti critiche(2) a me rivolte dal Prof. Corrado Gnerre e pubblicate nei siti Corrispondenza Romana [cf. QUI], Riscossa cristiana [cf. QUI], Chiesa e Postconcilio [cf. QUI] e altri. Il lettore potrà leggere le critiche in tre punti nei suddetti siti. Qui pubblico le mie risposte punto per punto.

 

 

(2) Evidentemente il Maestro Cavalcoli ha un’idea tutta sua sul senso della risposta. Noi abbiamo letto e riletto il suo articolo e non abbiamo trovato “risposte”.

     I divorziati risposati, nel giudizio della Chiesa, sono in una posizione “irregolare” e per questo sono esclusi dai sacramenti. Ma il sostenere che con ciò siano in uno “stato di peccato grave” è un giudizio temerario, che non tiene conto di che cosa è il peccato e qual è il suo dinamismo nel concreto delle coscienze. Essi infatti possono in qualunque momento, con la grazia di Dio, pentirsi ed ottenere il perdono di Dio, anche senza il sacramento della penitenza.(3)

 

(3) C’è da chiedersi se il Maestro Cavalcoli sa perché la Chiesa considera i divorziati risposati «in una posizione “irregolare”» e se ha ben compreso che «per questo sono esclusi dai sacramenti». Ma nonostante le prime due proposizioni chiarissime, vedremo che il Maestro Cavalcoli farà i salti mortali per giustificare (in contraddizione a quanto già annunciato, “per questo sono esclusi dai sacramenti”) la liceità dell’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati; e a tal fine comincia a confondere i termini della questione o, meglio, ad imbrogliar le carte.

Nessuno nega ai peccatori la possibilità di rimettersi in grazia di Dio con un atto di dolore perfetto e tutti speriamo che il peccatore faccia al più presto quell’atto. Ma quell’atto riguarda il foro interno, in foro esterno si deve tener conto della «posizione “irregolare”», ovvero del concubinato sotto gli occhi di tutti, dello scandaloso stato di convivenza, scandalo pubblico per gli altri e grave occasione prossima di peccato per sé.

Per di più la teologia morale rifiuta i sacramenti al pubblico peccatore che non abbia prima rimosso il pubblico scandalo del suo peccato e addirittura condiziona l’assoluzione sacramentale proprio alla rimozione del pubblico scandalo: Maestro Cavalcoli, vede bene che il pentimento (fatto con un atto di dolore perfetto o addirittura in confessione) non è sufficiente: occorre che il peccatore dimostri coi fatti il suo pentimento.

      Per chiarire la discussione, ritengo utile fare alcune premesse di teologia morale. Comincio allora col dire che la condotta umana cosciente è costituita da una successione di atti della volontà, ora buoni, ed abbiamo la buona azione, connessa alla virtù; ora cattivi, ed abbiamo la cattiva azione, ossia il peccato, connesso col vizio.(4)
È in potere del nostro libero arbitrio operare un’alternanza, nel tempo, di buone azioni e di peccati. In questo dinamismo del nostro volere gioca l’azione della grazia divina, la quale ci sollecita al bene, ci sostiene nel compierlo e, quando commettiamo il male, ci muove a pentirci e a chiedere perdono a Dio, col proposito di non più peccare e di evitare le prossime occasioni del peccato. Infine, sulla base di questi presupposti, Dio ci perdona e ci ridona la grazia, nel caso l’avessimo perduta col peccato mortale.(4)
Per avere un quadro completo dell’agire umano e del suo funzionamento, e poter quindi dare un giudizio o una valutazione circa la grave questione che stiamo trattando, dobbiamo tener conto anche di altri fattori, che concorrono, seppur in modo accidentale e occasionale alla formazione dell’atto umano o morale, buono o cattivo che sia. Si tratta di motivazioni, incentivi, spinte, stimoli, sollecitazioni o pressioni più o meno forti o persistenti, favorevoli o sfavorevoli all’atto buono o cattivo, che possono provenire o dall’interno o dall’esterno del soggetto agente, e che possono essere o non essere favoriti o causati dalla volontà dello stesso soggetto agente.(4)
Stimoli interni sono i progetti, gli intenti, le idee, i desideri, l’immaginazione, le tendenze, le abitudini, gli interessi, le disposizioni e le passioni del soggetto. Stimoli esterni sono l’ambiente umano e fisico, gli stimoli e influssi ricevuti dagli altri, le occasioni di operare il bene o il male, che si presentano, cercate o non cercate, previste o non previste.(4)
In particolare, per quanto riguarda il peccato, esistono le tentazioni, che vengono o dall’intimo o da incontri o frequentazioni o esperienze pericolose o dannose, da cattivi esempi o dalle seduzioni di peccatori, persone tentatrici, con le quali si convive o si deve o si è obbligati o costretti a convivere.(4)

 

 

 

 

 


(4)
Tutto questo disquisire sugli atti di volontà, sul libero arbitrio… sugli stimoli, sulle tentazioni non ha niente a che vedere con la liceità dell’ammissione dei concubini ai sacramenti.

      Se le occasioni di peccare sono frequenti ed inevitabili(5), la caduta che consegue è meno imputabile, considerando da una parte la spinta della passione e dall’altra la pressione esercitata sulla volontà dall’occasione di peccato. La nostra volontà ha una forza limitata. Il peccato si verifica solo quando, potendo resistere alla tentazione, non lo facciamo. Ma se la tentazione è troppo forte e la volontà non riesce a vincere la concupiscenza, la colpa diminuisce(6), perché diminuisce il volontario, che è fattore essenziale dell’atto morale, sia buono che cattivo. In questo caso non si pecca perché si è deliberatamente voluto peccare, ma perché le forze di resistenza, colte a volte alla sprovvista, non sono state sufficienti. Se qualcuno mi dà uno spintone e io casco per terra, mi si darà una colpa se son caduto a terra? L’istinto sessuale, soprattutto nei giovani ― dovremmo saperlo tutti ―, è una forza travolgente, alla quale in certi casi è impossibile resistere. Nemo ad impossibilia tenetur. Non possiamo essere incolpati di atti che abbiamo commesso per causa di forza maggiore.(7).

 

(5) Una cosa è la frequenza e ben altro la inevitabilità: la frequenza non scusa, la inevitabilità sì.

(6) Quasi quasi sembra un discorso alla Lutero, e certo non è da cattolico: quindi per il Maestro Cavalcoli, esemplificando, se la tentazione mi viene da una bellissima prostituta (che al solo vederla ti si annebbia la vista e sussultano tutti i sensi) il peccato è meno grave, “la colpa diminuisce”,  mentre se la tentazione mi viene da una racchia la colpa è più grave. Non avrei mai creduto che un tal ragionamento potesse esser fatto da tanto Maestro e plurititolato!

(7) È il colmo! Quindi un giovane travolto dalla sua passione “commette l’atto per causa di forza maggiore e non può essere incolpato"! Così il dissoluto, abituato alle travolgenti passioni, “non può essere incolpato”! Lutero dice che per la nostra debolezza non possiamo resistere al peccato, e quindi non siamo colpevoli, pertanto “pecca fortiter”! Ma che lo dica Lutero passi, che lo dica Cavalcoli (anche se Maestro e plurititolato) no!!!

      Ricordiamoci anche di distinguere il peccato in senso oggettivo, ossia l’azione cattiva in se stessa, dalla condizione soggettiva dell’agente, nel cui atto può mancare la piena avvertenza o il deliberato consenso, sicché la sua coscienza, benché egli oggettivamente abbia fatto del male o un danno a terzi, potrebbe essere in parte o del tutto scusata.(8)
A ciò si riferiva il Papa con quella famosa frase «Chi sono io per giudicare?». Sarebbe assurdo credere, come hanno fatto stoltamente alcuni, che con ciò il Papa abbia voluto relativizzare la legge morale; ma semplicemente si riferiva ad un caso particolare, da sempre noto ai moralisti.(8)

 

(8) Sembra un voler mescolare capre e cavoli. Vero è che se non c’è piena avvertenza e deliberato consenso non c’è peccato, ma questo non ha niente a che vedere con l’episodio del Papa che rispondeva ad una precisa domanda sugli omosessuali, sul peccato di omosessualità. Il Papa non si riferiva ad alcun «caso particolare», ma al generalissimo caso di omosessualità. Questa per il Maestro Cavalcoli poteva essere l’occasione buona per rispondere al Papa: “Tu sei il Papa, il Vicario di Cristo, Che condanna l’omosessualità. Tu  hai il diritto-DOVERE di indicarci la buona morale, dicendoci cosa è peccato e cosa no, se l’omosessualità è peccato o no”.

Invece il Maestro Cavalcoli pare che voglia confonderci  ancor più citando a sproposito il Papa a sostegno della sua assurda tesi.

      Tutte queste premesse devono portarci a un’importante distinzione, che gioca immediatamente nella nostra discussione e cioè quella tra il peccato come atto volontario, protraibile o interrompibile nel tempo a volontà; e certe situazioni o condizioni pericolose, interiori o esterne, soggettive od oggettive, che spingono più o meno fortemente al peccato, ma non sono ancora peccato, perché la volontà, per quanto sollecitata, resta libera di decidere.(9) Possiamo tuttavia chiamare “stato di peccato” un peccato o una colpa volontariamente protratta nel tempo, quello stato psichico e morale colpevole che chiamiamo “ostinazione” e la Bibbia chiama “cuore indurito”. Anche in tal caso, però, la volontà, mossa dalla grazia, può sempre, in linea di principio, interrompere questo stato, spezzare queste catene e tornare al bene, come avviene per esempio nelle conversioni.

 

(9) Tutto il distinguere appare superfluo, come pure appare fuori luogo “la possibilità, in linea di principio”, di rimettersi in grazia di Dio: nel caso dei divorziati risposati si tratta di situazioni pericolose, esterne ed oggettive, che spingono fortemente al peccato, che sono già esse stesse peccato (perché, come insegna la teologia morale, «È peccato grave non allontanare l’occasione prossima volontaria. Perché nelle cose morali è la stessa cosa peccare e mettersi volontariamente nel pericolo di peccare» [vedi Sommario di teologia morale, di Piscetta e Gennaro, §69, VI, pag. 47, SEI 1954]).

      Ciò che accade nel caso dei conviventi, è una cosa che si può verificare in tanti altri casi della vita, nei quali occorre distinguere il peccato dall’occasione di peccare. Il peccato possiamo toglierlo subito; l’occasione può restare, anche se non vogliamo.(10)

 

(10) Se parliamo del «caso dei conviventi» perché generalizzare con «tanti altri casi della vita» che sono o possono essere diversi? Nel caso dei conviventi, come possiamo togliere subito il peccato, se permane l’occasione grave e prossima del peccato? se permane lo stato peccaminoso della convivenza? L’occasione di peccare può restare in altri casi indipendenti dalla nostra volontà, ma non nel caso della convivenza cercata, voluta e mantenuta!

      Facciamo alcuni esempi. Un seminarista che abbia un insegnante rahneriano, è bene che resti in seminario, anche se è tentato di cadere nell’eresia; e si noti che l’eresia è un peccato mortale, peggio dell’adulterio [cf. Ariel S. Levi di Gualdo, QUI]. Un operaio che abbia un padrone sfruttatore, dovrà tenerselo, data la difficoltà di cambiare lavoro, anche se è tentato di bastonarlo. Un cittadino, vittima di un regime dittatoriale, sarebbe tentato di fare un attentato, giacché difficilmente è possibile emigrare all’estero. E così via.(11)

 

 

 

 


 

 

(11) Questi casi e questi esempi, non hanno niente a che vedere con il caso dei conviventi.

      Ma in tutti questi casi occorre resistere, anche se la tentazione al peccato è forte. E se si cede, ci sono delle scusanti o delle attenuanti. Quando uno non ne può più, cede. Questo avviene nel sesso, ma anche in molti altri casi. E che facciamo? Li mandiamo all’inferno? O forse che la grazia di Dio può qualcosa? O forse che il Sinodo può darci qualche consiglio?(12)

 

 

(12) Oh come è buono il Maestro Cavalcoli! Non manda nessuno all’inferno. Certo che la grazia di Dio può qualcosa! certo che il Sinodo può dare (meglio: avrebbe potuto dare) qualche consiglio! ma il Maestro continua a volere ignorare l’ostinazione nel peccato, il mantenimento oggettivo dello stato di peccato (convivenza), lo scandalo pubblico di quel peccato e che Dio non salvabit te sine te.

      In questi casi(13) e in questo senso non sarei del tutto contrario a parlare di “situazione peccaminosa”, a patto però che si distingua sempre da una parte lo stato volontario di peccato, che è possibile, benché non necessario e che quindi può essere sempre interrotto in qualunque momento e, dall’altra, da un contesto o da una situazione oggettiva durevole, insuperabile o di forza maggiore, dalla quale il soggetto, almeno al momento, non riesce a liberarsi, anche volendo.

 

(13) Ripetiamo che “questi casi” non hanno niente a che vedere con il caso dei conviventi.

      La cosa da tener presente è che, anche in un’unione illegittima(14), non è affatto detto che i due siano sempre e necessariamente in uno stato di peccato mortale (“situazione peccaminosa” o “condizione di peccato”) e non possano essere toccati dalla grazia, come a dire che di per sé non possano essere atti a ricevere la Comunione, senza commettere sacrilegio.

 

(14) Se per unione illegittima si intende la convivenza more uxorio, se si intende il concubinato, i due sono in uno stato di peccato mortale, perché sono in grave occasione prossima di peccato e perché dànno grave scandalo di peccato pubblico. Che possano essere toccati dalla grazia, non esclude il peccato, almeno fino a quando i due non si mettono nella condizione reale che escluda l’occasione prossima di peccato e rendano remota quella occasione. Che la grazia possa toccarli non elimina il peccato in atto.

      Credere che la semplice occasione di peccare porti di necessità al peccato, è un errore gravissimo (15), offensivo della dignità umana dello stesso peccatore, il quale conserva il libero arbitrio, benché indebolito dal peccato originale. Se allora per “situazione peccaminosa” si intende la suddetta tesi, ebbene, come ho già detto, non esiste una “situazione peccaminosa”, perchè invece il peccato è la messa in pratica di un libero giudizio, questo sì peccaminoso; è un atto categoriale volontario e cosciente, ripetibile, anzi ripetitivo e, per quanto grave, sempre perdonabile o cancellabile da Dio, quale che sia la situazione nella quale si pecca.

 

(15) Evidentemente la teologia morale del Maestro Cavalcoli è diversa da quella cattolica: ripetiamo quanto detto al precedente punto 9: «È peccato grave non allontanare l’occasione prossima volontaria. Perché nelle cose morali è la stessa cosa peccare e mettersi volontariamente nel pericolo di peccare». È inutile tirare in ballo la dignità umana del peccatore, per altro calpestata non da chi lo crede in peccato, ma dal peccatore stesso col suo peccare e con l’usare male il suo libero arbitrio. No, Maestro Cavalcoli, quella è una situazione peccaminosa: il sapere che io mi possa pentire non cancella la realtà del mio peccato: quando mi pentirò sarò in una situazione di grazia, ma quando pecco sono in una situazione di peccato, e non è certo che poi io abbia la possibilità di pentirmi (se muoio prima?): peccare sperando di pentirsene poi è diabolico! Che Dio perdoni qualunque genere di peccato, di enorme gravità, non implica che il vivere in peccato non debba chiamarsi “situazione peccaminosa” o stato peccaminoso.

      La situazione, che è una circostanza dell’atto(16), non costituisce l’atto come tale nella sua sostanza, ma è solo una modalità accidentale o un’occasione dell’azione umana, buona o cattiva che sia. Ma non è la vera causa, che è solo la cattiva volontà. Quindi la sostanza del peccato, cioè la cosa che oggettivamente e sostanzialmente vien fatta, è indipendente dalle situazioni e dalle occasioni. Si può compiere un peccato in situazioni che inducono al bene; e si può compiere un atto di virtù, laddove la situazione ci spingerebbe a peccare. Che io compia un gesto di carità in uno stato d’animo di gioia, perchè ho superato un esame, o di sofferenza, perché è morta mia madre, il valore morale del gesto è sempre lo stesso.

 

(16) Qui il Maestro Cavalcoli giuoca con le parole: la situazione non è l’atto! ma noi stiamo parlando di un peccatore che ha commesso l'atto , che ha commesso il peccato e che vive stando in quel peccato: la situazione di cui parliamo è quella di chi vive in peccato e in pratica non fa nulla per uscirne, quindi quella è una situazione di peccato, è essa stessa un peccato.

Certo il peccato precede la situazione, precede lo stato, ma quella situazione vive nel peccato ed è essa stessa peccato perché grave occasione prossima di peccato: è inutile girarci attorno e fare assurdi distinguo: vivere in peccato è peccato! È inutile che il Maestro Cavalcoli voglia confondere le idee tirando in ballo altre situazioni, altri casi, altre circostanze, si sta parlando della convivenza, non di esami o di madre morta! Può essere che il Maestro non riesca a mantenersi in tema?!

      Una delle eresie di Lutero condannate dal Concilio di Trento, fu proprio quella di credere che la concupiscenza, che è l’inevitabile ed invincibile tendenza permanente a peccare, presente in tutti noi, coincidesse con un inesistente stato permanente ed inevitabile di peccato.(17)

 

(17) Ma questa eresia non è simile a quella del Maestro Cavalcoli, che classifica quello causato da una tentazione più forte come peccato minore, fino a scusarlo e a non imputarlo? (vedi il precedente punto 7). Noi non crediamo, come Lutero, che la concupiscenza sia inevitabile, ma crediamo che chi vive in peccato e non fugge la grave occasione di peccato (cioè il concubinato o convivenza) vive in una situazione peccaminosa.

      La concezione del peccato come “situazione” è de-responsabilizzante. Salvo i nostri stati interiori, le situazioni nelle quali agiamo, solitamente non le determiniamo noi, ma ci sono date e non possiamo cambiarle(18). Qui siamo in una visione sul tipo di quella di Rousseau, che scarica le nostre colpe sulla società. Oltre a ciò, la detta concezione sembra riflettere la visione rahneriana, che rifiuta di considerare il peccato come atto categoriale, sostituendolo con una inesistente ed insostenibile “opzione fondamentale atematica”. Ma queste idee sono state condannate da San Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis Splendor..

 

(18) L’argomentare del Maestro Cavalcoli talvolta rasenta la cattiveria. Perché ipotizzare situazioni indipendenti da noi? La convivenza DIPENDE DA NOI! Sono i conviventi che vogliono quella situazione. O come sarebbe bello se il Maestro non insistesse ad andare fuori tema! Tra parentesi, chi vuole una situazione alla Rousseasu è proprio il Cavalcoli che addossa  la colpa alle cirsostanze e non al peccatore, poi per confondere ulteriormente tira in ballo Rahner e il peccato posto non come atto categoriale, ma come opzione fondamentale atematica[!!!]. Con ciò che ha voluto dimostrare e dire? Che conosce Rahner? Che è bravo? Ma in buona sostanza, con tanto sapere(!) cosa ha aggiunto in chiarimento alla quaestio?

In fine, noi il peccato non lo concepiamo come situazione, ma crediamo che ci possano essere situazioni peccaminose a tal punto da essere esse stesse peccato.

      Se la Chiesa esclude attualmente i conviventi dalla Santa Comunione, non è perché essa supponga che essi sono sempre in peccato, ma solo per una misura pastorale(19), che vuol essere: primo, un richiamo alla loro coscienza; secondo, il rispetto dovuto ai sacramenti; terzo, evitare lo scandalo e il turbamento dei fedeli. Ma di per sé non è impossibile che essi si accostino alla Comunione in stato di grazia. Il che è come dire che, nonostante la situazione sia irregolare, essi possono vivere in grazia, benché ciò sia certo per loro difficile.

 

(19) Giovanni XXIII indìce il Concilio pastorale, Giovanni Cavalcoli la Misura pastorale… (Sempre di Giovanni si tratta, purtroppo!) La verità è tutt’altra: la Chiesa non ammette i conviventi ai sacramenti
perché sa che la convivenza è peccato (e chi la pratica è peccatore),
perché sa che la convivenza è un pubblico scandalo,
perché vuole evitare di dare scandalo ammettendo ai sacramenti pubblici peccatori impenitenti (infatti persistono nella loro convivenza),
perché la Chiesa sa che
non si può dare il Sacratissimo Corpo del Dio Gesù a un peccatore (sarebbe come farlo straziare da un suo nemico, sarebbe un sacrilegio!).
È questione di fede, non di misura pastorale! Un convivente, pubblico peccatore, deve mostrare altrettanto pubblico pentimento, cessando del tutto la sua convivenza e confessandosi prima di accostarsi alla Mensa Eucaristica.

È pertanto inutile e fuor di luogo che il Maestro Cavalcoli faccia supposizioni e dica fesserie: infatti perché la Chiesa farebbe un “richiamo” alla coscienza dei conviventi? Perché parlerebbe di “rispetto” ai sacramenti? Quale scandalo e quale turbamento vorrebbe evitare?
Dire che due conviventi more uxorio possano “accostarsi alla Comunione in stato di grazia” è fare della fantamorale che solo il Maestro Cavalcoli si può permettere.

      Se quindi la Chiesa un domani dovesse concedere loro la Santa Comunione, ciò non vorrebbe affatto dire che la Chiesa – cosa impensabile – compia un attentato contro la sostanza dei sacramenti, ma semplicemente che usa della sua facoltà di legiferare e mutar leggi per una migliore recezione dei sacramenti.(20) La Chiesa tiene provvidamente a che anche i divorziati risposati vivano in grazia di Dio, nonostante la loro situazione. D’altra parte, se la disciplina attuale resta immutata, io non avrei problemi, perché nella mia lunga esperienza di confessore e guida delle anime, sono sempre riuscito a rasserenare queste persone, semplicemente ricordando loro che comunque esse possono percorrere un personale cammino penitenziale ed essere quindi in grazia, anche se non possono accedere ai sacramenti.

 

(20) Recentemente il Maestro Cavalcoli ha suggerito a qualcuno di ripassarsi il Catechismo, noi suggeriamo a lui di ripassarsi, oltre al Catechismo (quello di San Pio X), anche il Nuovo Testamento, perché solo così potrà evitare di dire castronerie.

Concedere la Comunione ai conviventi non appartiene alla facoltà di legiferare della Chiesa, ed è veramente un attentato contro il Santissimo Sacramento (il Sacramento per eccellenza!): sarebbe come concedere di potere offendere impunemente la Maestà di Dio, incuranti dell’avvertimento evangelico “chi mangia e beve indegnamente il mio corpo, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29), e NESSUNO nella Chiesa può autorizzare un’offesa a Dio (Comunione sacrilega) e favorire una sicura condanna delle anime!!!
Interessante è notare come il Maestro ammetta che la Chiesa legifera “per una migliore recezione dei sacramenti”, ma sarebbe migliore la ricezione che si sostanzia in un sacrilegio e in uno scandalo?
È sbagliato dire che la Chiesa vuole “che anche i divorziati risposati vivano in grazia di Dio, nonostante la loro situazione”. Primo perché non vuole e non può volere che i divorziati si risposino, secondo perché quella loro situazione (di convivenza) è ostativa allo stato di grazia ed è di scandalo al prossimo.

Quanto è complicato nei consigli! Perché non ne dà uno semplice e chiaro: pentitevi e separatevi, confessatevi e vivete in grazia di Dio! Così potrete accostarvi ai sacramenti.

      C’è oggi una fissazione eccessiva e superstiziosa sul voler fare per forza la Comunione(21), come se si trattasse di una rivendicazione sindacale, magari trascurando la confessione, mentre la Chiesa da tempo ha prescritto per queste coppie che possono fare la Comunione spirituale alla Santa Messa.

 

(21) È assurdo che un prete, anche se è il Maestro Cavalcoli, consideri «una fissazione eccessiva e superstiziosa» il voler fare la Comunione: di per sé dovrebbe essere un pio desiderio o almeno una buona ispirazione… Non sarà perché i fedeli hanno letto che «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno.»? che «Se alcuno mangerà di questo pane, vivrà eternamente.»? che «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui»? (Gv VI, 55,52,57) Certo l’invito a mensa è rivolto a tutti, ma Dio esige che si sia nella sua grazia, vestiti con l’abito adatto, perché altrimenti dirà ai servi: “Legategli le mani e i piedi e gettatelo fuori nel buio; ivi sarà il pianto e lo stridor di denti.” (Mt 22, 13) E in fine ha già avvertito: “chi mangia e beve indegnamente il mio corpo, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29).

      D’altra parte, se la disciplina attuale dovesse essere allargata o mitigata, non vedo proprio perché, come temono alcuni, che non sanno distinguere il dogma dalla pastorale, ciò dovrebbe costituire un attentato ai Sacramenti (22). La pastorale mette in pratica il dogma e non lo contraddice. Tra dogma e pastorale c’è un rapporto simile a quello che esiste tra il ritmo biologico dell’organismo e due differenti metodi di cura della salute. Il medico non può fissare la cura senza compromettere la salute del paziente?

 

(22) Crediamo proprio che chi non sa distinguere il dogma dalla pastorale è appunto il Maestro Cavalcoli. Infatti, come abbiamo già detto al punto 20, NESSUNO nella Chiesa può autorizzare un’offesa a Dio (Comunione sacrilega) e una sicura condanna delle anime!!!

Non sempre la pastorale «mette in pratica il dogma e non lo contraddice»: è sotto gli occhi di tutti, in questo dopo-concilio in maniera particolare. Nel nostro caso, non si comprometterebbe la salute del paziente, ma si offenderebbe gravemente Dio e si rischierebbe la dannazione eterna delle anime.

      La Chiesa fa discendere la pastorale dal dogma, in quanto nel dogma vi sono leggi divine intangibili e immutabili, che devono essere applicate nella vita. Molti e mutevoli sono i modi con i quali le leggi divine possono essere applicate dalla Chiesa, la quale invece interpreta e rispetta sempre ed infallibilmente l’immutabilità del dogma. (23)

 

(23) Il concedere ai divorziati risposati, ai conviventi, la facoltà di accostarsi alla santa Comunione non appartiene alla sfera legislativa della Chiesa, la Chiesa non può concedere quel che lo Spirito Santo nega: “chi mangia e beve indegnamente il mio corpo, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29) (= non mangiare e non bere indegnamente!). Il Papa è vicario di Cristo, non superiore a Cristo. La Chiesa poi è infallibile nel dogma, e non nella pastorale! A questo proposito, ripassare il Concilio Vaticano I, quello dommatico.

      Quindi è assurdo credere o temere, come fanno i lefevriani, vittime di un rigido legalismo(24), che la Chiesa o il Papa, quando emana o cambia una legge, possa disattendere o mutare il dogma. Questa sarebbe invece la speranza dei modernisti, che, col pretesto della “misericordia” più per sé che per gli altri, vogliono scuotere il giogo di Cristo, ma essi si illudono, perché dimenticano le parole di Cristo: «cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» [cf. Mt 24, 32-35].

 

(24) La stoccata contro i lefebvriani è d’obbligo, magari per darsi un tono… Povere vittime di un rigido legalismo!... Chi sa cosa dice il Maestro Cavalcoli di quel rigidissimo Cristo che si permise di dire “chi non è con me, è contro di me”…, non ammettendo un benché minimo compromesso… una viuzza di mezzo… un dialoghetto…

Finge poi di prendersela anche coi modernisti, lui che ha posto in essere un argomentare da modernista, che nega quel che prima afferma, e viceversa. Comunque i modernisti hanno superato la speranza: hanno già cancellato il dogma.
Una raccomandazione: caro Maestro, non sia lei a dimenticare le parole di Cristo.

      Se poi il convivente, per cattive abitudini o scelte sbagliate precedenti o per vari gravi motivi od ostacoli indipendenti dalla sua volontà, prigioniero del vizio, non riesce a liberarsi dalla situazione nella quale si trova e a venirne fuori, se pecca di lussuria, è in parte scusato e la colpa diminuisce(25). In questi soggetti la coscienza può ottundersi, cosicché essi non trovano più la forza di rialzarsi e di correggersi, facilmente adagiandosi in una perversa e fatalistica rassegnazione. Eppure la Chiesa, madre premurosa di condurre tutti alla salvezza, non si arrende, ma può e deve curarsi anche di questi casi difficili e quasi disperati. Ecco il lavoro del Sinodo.

 

(25) Stendiamo a credere quel che leggiamo: “Se poi il convivente, prigioniero del vizio, non riesce a liberarsi dalla situazione…, se pecca di lussuria, è in parte scusato e la colpa diminuisce”! In quanta parte è scusato e quanto diminuisce la colpa? Cose d’altro mondo! Ovvero cose da Lutero! Il peccatore si ottunde… si rassegna…, e allora che fa la Chiesa? Gli permette di accostarsi sacrilegamente ai sacramenti: così, forse, aggiungendo un altro gravissimo peccato può darsi che la sua coscienza si apra ed egli riacquisti fiducia in se stesso… Che bel ragionamento! “Ecco il lavoro del Sinodo”: se quel lavoro si basa su un tale diabolico ragionamento…

Evidentemente per il Maestro Cavalvoli son finiti i tempi in cui i preti per convertire un peccatore le tentavano tutte: prediche, missioni, preghiere, digiuni, suppliche, processioni, lacrime… Cose d'altri tempi! Nei nostri giorni basta una Comunione sacrilega!

      La Chiesa sa quello che fa soprattutto in questa delicata materia della disciplina dei sacramenti(26). Essa sa come guarire le anime dal peccato e mantenerle in salute. Spetta dunque a lei di stabilire le norme per la conservazione e il rispetto di quelle meravigliose medicine dello spirito, che sono i sacramenti, nonché per loro degna e fruttuosa celebrazione, amministrazione e recezione, ordinando la condotta del ministro e quella del fedele, secondo i tempi, i luoghi e le circostanze, affnchè detta condotta sia conforme a una degna prassi sacramentale.

 

 

(26) Sapere quello che si fa non sempre equivale a farlo bene. Prima del Concilio sappiamo per certo che la Chiesa ha cercato di agire rispettando il dogma, mentre nel dopo concilio abbiamo assistito a pessimi comportamenti in aperto contrasto col dogma. E comunque il dare la Comunione a pubblici e impenitenti peccatori è contro il dogma.

      Dobbiamo fidarci delle disposizioni giuridiche, liturgiche e pastorali della Chiesa(27), nella certezza che la Sposa di Cristo, pur tra i suoi limiti umani, non potrà mai venir meno alla fedeltà al suo Sposo e ai suoi comandamenti, per quanto diverse ed anche in contrasto tra di loro, nel tempo e nello spazio, possano essere le sue leggi, che comunque interpreteranno ed applicheranno sempre la volontà del Signore.

 

(27) Oggi c’è da pensarci molto, prima di fidarci di talune disposizioni giuridiche, liturgiche e pastorali della chiesa conciliare. Strano è poi ammettere che le sue leggi possano essere «in contrasto tra di loro»: se applicano sempre la volontà del Signore, non possono essere in contrasto, altrimenti sarebbe come ammettere che gli atti di volontà del Signore possono essere in contrasto tra di loro! Sarebbe come ammettere che Dio sia contro se stesso!

     

Secondo punto – Difficoltà relative all’interruzione del rapporto
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È chiaro che stiamo parlando di una convivenza illegittima. Io però ho parlato di “situazioni peccaminose” e non di “condizioni di peccato”, le quali non sono la stessa cosa(28). Come ho respinto la prima espressione nel senso che ho precisato, sarei disposto invece ad accettare la seconda, nel senso di “condizioni di vita che inducono al peccato”. Ma allora anche qui non c’è ancora in gioco il peccato. Come ho detto per la situazione, così devo dire per la condizione: esse non possono essere qualificate come “peccaminose”, perché non sono peccati, ma sono circostanze del peccato, come ho spiegato sopra.
 

(28) Qual è la differenza? «Le condizioni di vita che inducono al peccato» in che differiscono dalle «situazioni peccaminose»? Certo si può resistere alle condizioni, ma si può fare altrettanto nelle situazioni. Le prime, in teoria, precedono le seconde, tuttavia ci era parso che il Maestro Cavalcoli sopra avesse trattato delle situazioni come di uno stato di tentazione che induce al peccato, e allora la distinzione che ora fa appare inutile e contraddittoria, e comunque non capiamo il perché della distinzione, dal momento che si sta parlando di convivenza illegittima, nella quale volontariamente i due si sono posti: la loro condizione non è involontaria, ma voluta, come è voluta la situazione che ne risulta; e dato che l’una e l’altra costituiscono occasione prossima di peccato, diventano esse stesse peccato (come già chiarito al precedente punto 9). Il Maestro Cavalcoli in fine, pone arbitrariamente la condizione di vita come circostanza che aggrava o allevia la colpa (ma per lui pare che L'allevia soltanto): sembra che non voglia tener conto del fatto che la condizione di vita rappresenta qualcosa di duraturo, di stabile, mentre la circostanza è essenzialmente occasionale, passeggera, circostanziale appunto. Non si possono equiparare le due cose, e comunque ci pare una distinzione inutile, inefficace e superflua.

      Non costituiscono la sostanza del peccato ma una proprietà aggiunta accidentale, che può mancare, senza che la specie del peccato muti. Anche due legittimi sposi possono commettere un peccato di lussuria. Così, per tornare al nostro caso, l’unione illegittima non conduce necessariamente di per sé all’atto del peccato, pur costituendo una situazione o condizione, che induce a peccare ed è sorta dal peccato.(29)

 

(29) In virtù di quale magia, il Maestro Cavalcoli tira fuori dal suo cilindro che l’unione illegittima, la convivenza, «pur costituendo una situazione o condizione [qui il Maestro ha annullato la sua precedente distinzione, perché allora ha perso prima tanto tempo a distinguere?], che induce a peccare», non conduce necessariamente al peccato? Si rende conto che una tale conclusione contraddice l’insegnamento della teologia morale (vedi punto 9) e non tiene affatto conto della realtà? La morale riguarda la pratica, e non la pura teoria.

Sa il Maestro che sta parlando di due persone che già son cadute in peccato (perché han ceduto alla tentazione)? che già han deciso di convivere in peccato (perché han ceduto alla tentazione)? che già convivono in peccato (perché han ceduto alla tentazione)? Sì, ma possono essere in qualunque momento toccate dalla grazia di Dio… Ma in tal caso sa cosa farebbero? Scapperebbero immediatamente l’uno lontano dall’altra! Non disprezzerebbero la grazia di Dio continuando a vivere in una “condizione o situazione che li induce a peccare”.
Quindi, Maestro, meno fantasia, meno magia e piedi a terra!

      Certo, allora, che convivere è un atto di volontà. Ma il peccare dei conviventi, per quanto pecchino, non è necessariamente coestensivo al loro convivere.(30) Non è che tutto il loro vivere sia peccato. Possono benissimo possedere buone qualità per altri versi, qualità che essi possono e debbono valorizzare, senza per questo peccare nel merito. Se lui è ingegnere e lei è infermiera, non possono forse far del bene sotto questi aspetti? È vero che le opere buone fatte in stato di peccato mortale non valgono per la salvezza. Ma sarebbe giudizio gravemente temerario e crudele pensare che questi esseri umani, redenti dal sangue di Cristo, siano in un continuo ed irrimediabile stato di peccato mortale, a meno che non si lascino. E la grazia divina che ci sta a fare?

 

(30) Bene, quindi siamo d’accordo che il «convivere è un atto di volontà» peccaminosa. Assodato questo, nessuno pensa che tutte le azioni dei conviventi siano peccato, infatti crediamo che i conviventi possano commettere anche azioni buone, opere però che non producono merito (perché compiute «in stato di peccato mortale»), ma che possono spingere al ravvedimento (fatto questo sfuggito al Maestro).

Detto questo, ecco che di nuovo il Maestro si contraddice clamorosamente: ha appena detto che i conviventi possono compiere azioni buone che “non valgono per la salvezza” dato che sono «fatte in stato di peccato mortale», ma ora accusa di giudizio gravemente crudele e temerario chi pensa che «questi esseri umani, redenti dal sangue di Cristo, siano in un continuo ed irrimediabile stato di peccato mortale, a meno che non si lascino». Ma è proprio così, e non è affatto crudele e temerario il crederlo: è verità. Noi però aggiungiamo e chiariamo: a meno che non si pentano, non si convertano e non si lascino. Infatti non basta lasciarsi: tanti lo fanno per passare a nuove convivenze, rimanendo quindi in stato di peccato mortale.
Detto questo, non capiamo l’arrabattarsi del Maestro Cavalcoli. Se i conviventi vogliono (atto di volontà) vivere in stato di peccato mortale [come riconosce il Maestro], perché lui fa carte false per evitare che si dica che vivono in stato di peccato mortale, arrivando ad accusare di crudeltà e di temerarietà chi constata la realtà???
La grazia divina non può nulla di fronte alla volontà di chi vuol vivere in stato di peccato mortale! Dire che i conviventi vivono in stato di peccato mortale non significa negare la grazia divina.
In conclusione il Maestro, modernista (prima afferma e poi nega), pare che abbia le idee piuttosto confuse…

      Il loro convivere, infatti, nonostante l’oggettiva irregolarità della loro posizione, può comportare anche, almeno in certi momenti, l’intervento e la presenza della grazia(31). Dipende dai due peccare o non peccare, in forza del libero arbitrio. Solo i dannati dell’inferno sono in uno stato continuo ed irrimediabile di peccato. Supponendo quindi quanto ho detto, non è detto che i due vivano necessariamente e in continuazione nel peccato, quasi fossero anime dannate, per il semplice fatto che la loro è un’unione illegittima.

 

(31) No! Ci risiamo! Si sta parlando di un convivere-peccato, che di per sé non include l’intervento della grazia, ma può essere investito dall’azione della grazia (però non è certo che i due accettino di fare quel che la grazia suggerisce), si sta parlando di un convivere-peccato che esclude la presenza della grazia (la grazia ci sarà dopo la conversione, dopo il pentimento e la conseguente non convivenza).

Noi non ci scordiamo del libero arbitrio, come appunto pare faccia il Maestro (dato che esiste la grazia divina, i conviventi non sono più in stato di peccato mortale, ha appena detto il Maestro). Sapere che, finché si è in vita, ci si può sempre pentire e tornare in grazia, non cancella il fatto che i conviventi sono in stato di peccato mortale.

Supposizione e conseguenza sbagliate: i due conviventi, fino a che non si convertono e non si lasciano, vivono necessariamente e in continuazione nel peccato, proprio come le anime dannate che non si vogliono convertire.

      Questa unione peccaminosa, certo, è la loro situazione o condizione di vita. Ma la situazione non fa da sé ancora il peccato, il quale non nasce dalla situazione, ma dalla volontà(32), volontà che può cambiare, mentre la situazione può restare la stessa. Il permanere di una situazione o condizione di vita, dalla quale, per ipotesi, non si può uscire e che comporta una continua tentazione al peccato, non vuol dire che in molti casi i due non possano, con la grazia di Dio, vincere la tentazione o, sempre con la grazia d Dio, risorgere dal peccato.

 

(32) Ci risiamo! In linea teorica, ma molto teorica, potrebbe succedere che due persone (un maschio e una femmina) vivano insieme e non commettano peccato sessuale, ma non dimentichiamo che qui stiamo parlando di due che hanno voluto vivere insieme PER COMMETTERE PECCATO, di due che già hanno commesso quel peccato, ipotizzare che essi abbiano deciso di convivere in castità significa non voler tener conto della realtà, di questo caso reale; in altri termini significa fantasticare e perder tempo, e non è serio. Un’ipotesi molto fantasiosa (e soltanto molto difficilmente possibile) diventa realtà per il Maestro che confonde il possibile con il reale.

Il Maestro inoltre insiste nel voler scordare quanto dice la teologia morale (vedi punto 9).

Si consideri inoltre che stiamo parlando di povera gente (spiritualmente e religiosamente parlando), non di grandi asceti ed eroici virtuosi capaci di resistere a forti tentazioni e che comunque non si porrebbero mai volontariamente in occasione prossima di peccato.

      Interrompere la relazione sarebbe(33) certo cosa buona e doverosa, ma cs non è sempre possibile a causa di ostacoli e di situazioni oggettivi di vario genere, ai quali ho già accennato nell’intervista [cf. QUI]. Ma è chiaro che se la cosa è possibile, va fatta.

 

(33) Interrompere la relazione non sarebbe, ma è cosa buona e doverosa, e se è doverosa, va fatta.

E non ci sono ostacoli e situazioni oggettivi che possano giustificare il persistere della convivenza: abbiamo visto quali sono quelli ai quali ci rimanda il Maestro, sembrerebbero tanti, ma abbiamo rilevato che si tratta di un solo caso, eccolo: «per esempio, il coniuge precedente ha figli con un altro, o la nuova coppia ha figli.» Mettiamo le carte in chiaro: due signori (si fa per dire…) non si fanno scrupolo di abbandonare i loro figli (nati nel matrimonio) per andare a convivere con altra persona, e ora dicono di non potere smettere la loro convivenza con la scusa di non potere abbandonare i nuovi figli nati nella convivenza?!!! Perché? non potrebbero provvedere ai figli standone lontani, come già succede per i figli del matrimonio, passando loro i sussidi e stando lontani dalla moglie (quella del matrimonio) e ricorrendo a tutti gli espedienti previsti per esercitare la genitorialità pur essendo divorziati? Qui gli ostacoli oggettivi il Maestro se li inventa. Per fare un’azione cattiva i figli vengono abbandonati, e per farne una buona non possono esserlo?

Il Maestro conclude «che se la cosa è possibile va fatta»: noi più semplicemente pensiamo che, per amore di Dio e per la salvezza della propria anima, la cosa è possibile, e quindi deve essere fatta.

      Per quanto riguarda poi la questione dell’educazione dei figli, sollevata da Gnerre, è evidente che la nuova coppia ha un dovere primario nei confronti dei figli, eventualmente nati dalla nuova unione, mentre la nuova coppia dovrà interessarsi, per quanto è possibile e conveniente, stando alle disposizioni della legge civile e possibilmente sotto una guida spirituale, anche di eventuali figli nati nel precedente matrimonio e di altri avuti da un nuovo eventuale legame contratto con altri dal coniuge precedente.(34)

 

(34) Qui il pensiero del Maestro non è affatto chiaro: «la nuova coppia ha un dovere primario nei confronti dei figli, eventualmente nati dalla nuova unione» e poi, se «è possibile e conveniente», «anche di eventuali figli nati nel precedente matrimonio» e abbondando generosamente [tanto al Maestro non costa nulla] anche di altri figli «avuti da un nuovo eventuale legame contratto con altri dal coniuge precedente». Noi diciamo in modo più semplice e chiaro che tutti hanno il dovere di prendersi cura dei propri figli (non importa quando, da chi e come nati) e di aiutare, nei limiti del possibile, anche i bisognosi figli degli altri. Tuttavia ci teniamo a ribadire che i figli non debbono essere la comoda scusa per giustificare una illecita e peccaminosa convivenza.

     

Terzo punto – Il Papa, custode della Tradizione
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Ripeto che la voce autentica ed ufficiale della Tradizione apostolica non è altro che il Magistero vivente della Chiesa di oggi, erede, custode e depositaria della Tradizione degli apostoli. Il Magistero della Chiesa lungo i secoli, a cominciare dai Santi Padri, specialmente nei Concili ecumenici, è sempre testimone autentico della Tradizione. Papa Francesco è quindi oggi il testimone guida della Tradizione, ne é l’interprete definitivo ed autentico.(35)
 

 

 

 

 

 

 


(35)
A ben osservare i fatti, la realtà, è evidente che è più esatto parlare di dovere essere, e non di essere: Papa Francesco dovrebbe essere oggi il testimone della tradizione, ma lo è veramente? Quante volte non si è posto in aperta contraddizione con la Tradizione e con il Magistero precedente?

      Certamente che nei secoli la Tradizione è stata messa per iscritto. E la stessa Sacra Scrittura, in fondo, non è altro che Tradizione orale, predicazione messa per scritto. In tal senso la Tradizione, nata dall’aver udito la stessa parola uscita dalle labbra del Salvatore, è più importante della Scrittura. Cristo non ha detto agli apostoli “scrivete”, ma “predicate”, benché nel mettere per iscritto abbiano avuto un’ottima idea.(36)

 

(36 )È evidente che il Maestro Cavalcoli supera il più cavilloso gesuitismo pro domo sua, ma è un cavillare che non rispetta la realtà. Predicare, scrivere… Ma perché? Uno scritto non può essere una predica? Il Nuovo Testamento non ha niente a che vedere con l’ispirazione dello Spirito Santo ed è forse frutto di un atto arbitrario? Se Dio ha ispirato (ed ha ispirato), che senso ha il voler cavillare col Cristo ha detto… Esiste la Tradizione, scritta o orale che sia, è la Tradizione. Certo la scritta è lì chiara e lampante, mentre la orale necessita di conferme e documenti probanti, ma non pensiamo che sia questo il punto.

      È chiaro infatti che la Bibbia è un libro sacro. Ma esso è interpretato dalla Chiesa, depositaria della Tradizione apostolica. Lutero, allora, con la sua ribellione al Papa e col suo attaccamento feticistico e presuntuoso a un libro stampato da Guttenberg, ha perduto di vista la vera origine della Parola di Dio.(37)

 

(37) Sarebbe opportuno che questo pensiero il Maestro lo ricordasse a quei tanti (Francesco compreso) che festeggiano ed esaltano la figura e la grande spiritualità di Lutero.

      Ma resta sempre che la Sacra Tradizione, per sua essenza è orale, è il Magistero apostolico vivente(38); ed in ciò si differenzia dalla Scrittura. La voce attuale dei nostri pastori, sotto la guida del Papa, è la voce della Tradizione, che poi viene regolarmente messa per iscritto negli Atti della Sede Apostolica.

 

(38) Qui ci sorge il sospetto che il Maestro ci voglia imbrogliare. Che vuol dire asserendo che «la Sacra Tradizione è il Magistero apostolico vivente»? se intende dire che qualunque cosa dica e faccia Papa Francesco (“vivente”) è Tradizione, il Maestro sbaglia enormemente, perché Francesco deve custodire e tramandare il Deposito (ciò che è già Tradizione), non deve inventare la Tradizione, non deve alterarla e soprattutto non deve contraddirla. Ed è più che notorio ed evidente che non tutto quello che il Papa dice e fa è giusto, santo, in accordo con la Tradizione e infallibile, tant’è che non tutti i Papi sono stati dei santi e un concilio (il Vativano I) ha definito dommaticamente quando il Papa è infallibile e quando no, e soltanto quando è infallibile concorre a esplicitare la Tradizione. Quindi gli Atti della Sede Apostolica non sono Tradizione, ma possono contenere qualcosa della Tradizione.

      Certamente il Papa nel suo insegnamento sulle verità di fede si basa sulla Tradizione(39), la quale, in questo senso, è la regola dello stesso insegnamento pontificio. Ma il giudicare o il sapere in ultima istanza se il Papa si attiene o no alla Tradizione, spetta solamente al Papa stesso. Cristo non ha affidato ad altri che agli apostoli la sua parola, ordinando loro di insegnare al mondo fino alla fine dei secoli ciò che aveva insegnato a loro.

 

(39) Il Maestro continua ad usare espressioni surreali (al di la della realtà) e inesatte, infatti il Papa dovrebbe basare il suo insegnamento sulla Tradizione, ma potrebbe non farlo (Concilio Vaticano I), quindi il “certamente” va a farsi benedire.

Nessuno mai si sogna di giudicare il Papa nell’esercizio del suo supremo magistero infallibile, ma se il Papa, agendo come un comunissimo mortale, si comporta male, esprime idee sbagliate o dottrine contrarie alla Tradizione o semplicemente al buon senso, perché un buon cristiano non dovrebbe “giudicarlo”? Non giudichiamo Francesco, ma Bergoglio sì.

Certo Cristo ha affidato a Francesco di insegnare il Vangelo e di convertire gli infedeli, ma non di predicare fesserie (del tipo “abbiamo lo stesso dio dei musulmani”) o di non predicare la conversione all’unica vera fede (tanto ci salviamo con qualunque fede o religione…).  E se Francesco non ubbidisce al comando di Cristo, perché non “giudicarlo”?

      Nessun altro dunque al di fuori del Successore di Pietro è il custode supremo ed infallibile della Tradizione. Ribadisco quindi che la pretesa di alcuni cattolici di conoscere la Tradizione meglio del Papa, così da poterlo cogliere in fallo quando sbaglia, non ha nessun senso, ma assomiglia piuttosto all’atteggiamento di quei farisei che volevano cogliere in fallo il Signore nei suoi discorsi.(40)

 

(40) Mi sa che i farisei stanno da tutt’altra parte… Nessuno nega che il custode infallibile della Tradizione è il successore di Pietro: questo noi crediamo e professiamo. Nessuno di conseguenza asserisce di conoscere la Tradizione meglio del Papa, in quanto Papa, quando agisce da Papa, da supremo Pastore di tutta la Chiesa, ma quando agisce da dottore privato, da semplice uomo (“chi sono io per giudicare?”, “sono uno di voi”…), quando agisce in evidente e manifesta contraddizione alla Tradizione, perché dovremmo continuare a tacere e non dire che sbaglia? Noi non abbiamo la necessità di agire come i farisei che tendevano tranelli a Gesù, qui Bergoglio fa tutto da solo…

      Noi possiamo discernere quando il Papa parla in nome della Tradizione e quando no. Certo anche a noi è possibile conoscere i documenti della Tradizione e verificare la fedeltà del Papa ad essi(41). Ma anche quando il Papa parla al di fuori della Tradizione, non parla mai contro di essa.

 

(41) Vede, illustre Maestro, che pure lei dice quel che diciamo noi? “Discernere quando il Papa parla in nome della Tradizione e quando no” equivale al “giudicare” di prima. Peccato però che alla fine lei cade nel suo solito ingiustificato e immotivato assolutismo: «Ma anche quando il Papa parla al di fuori della Tradizione, non parla mai contro di essa»! come può sostenerlo?!

      L’impressione che a volte il Papa non si attenga al dato rivelato trasmesso dalla Sacra Tradizione, è sempre un’impressione falsa, che deve farci comprendere che con simile atteggiamento mentale si finisce col cadere sotto il rimprovero del Signore, fatto ai farisei di non ascoltare la Parola del Dio eterno, che non passa e non muta, ma di farsi schiavi di caduche e vane “tradizioni di uomini”(42)

 

(42) Qui, ripetizione del punto 1, vale quanto detto sopra.

      […] così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: «Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» [cf. Is 29,13]. Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!». Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?». Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» [Mt. 15, 7-14].(43)

 

 

 

 

 

 


 

 

 

(43) Citazioni del tutto fuori luogo: non giustificano una sbagliata premessa.

P. Giovanni Cavalcoli, OP
Varazze, 18 ottobre 2015

 

S.P.
27-11-16

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